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SM e Vitamina D

SM e vitamina D


California – Bassi livelli ematici di vitamina D sarebbero associati ad un aumento del numero di lesioni
cerebrali e un aggravamento della sclerosi multipla (SM). E’ uno studio statunitense pubblicato su
Annals of neurology a suggerire un potenziale legame tra l’assunzione di vitamina D e l’aggravarsi della
malattia. La ricerca mostra una forte correlazione tra i livelli di vitamina D nel corpo, misurata
attraverso prelievi di sangue, e le caratteristiche lesioni cerebrali dovute alla SM, misurate con la
risonanza magnetica. Per ora non ci sono prove che l’assunzione di integratori a base di vitamina D
possano evitare questi sintomi, ma è chiaro che una correlazione esiste. Nei pazienti con SM il sistema
immunitario attacca il rivestimento delle fibre nervose (la mielina) e il midollo spinale. Quando la
mielina viene attaccata l’infiammazione interferisce con la trasmissione dei messaggi neuronali,
attività che si presenta a livello di risonanza magnetica come una lesione a placche, più o meno estesa.
Per questo studio il Dott. Mowry ei suoi colleghi hanno utilizzato i dati di circa 500 pazienti con SM,
scoprendo che per ogni aumento di 10 nanogrammi per millilitro di vitamina D nel sangue il rischio di
nuove lesioni scende del 15 per cento. Livelli elevati di vitamina D sono dunque stati associati con un
livello di disabilità associato alla malattia decisamente inferiore. Alcuni studi precedenti avevano già
suggerito che bassi livelli di vitamina D fossero associati ad un aumentato rischio di recidiva in alcuni
pazienti SM, dunque si tratterebbe di un’ulteriore conferma del ruolo della vitamina nella malattia.
L’assunzione della vitamina D potrebbe dunque migliorare la vita dei pazienti con SM, ma prima che
l’assunzione della vitamina diventi una prassi terapeutica dovranno essere svolti approfonditi studi
clinici. “La gente pensa che la vitamina D sia sempre disponibile, e che sia sicura” spiega Mowry. “Ma la
vitamina D è un ormone, e qualsiasi farmaco ha bisogno di essere testato prima di essere prescritto.
Questa è la ragione principale per cui stiamo eseguendo uno studio randomizzato di supplementazione
di vitamina D”.
La ricerca è stata finanziata da sovvenzioni dal National Institutes of Health National Institute of
Neurological Disorder and Stroke, GlaxoSmithKline e Biogen Idec.
Vitamina D e Sclerosi Multipla
Autori: Ascherio A, Munger KL, Simon KC
Vitamin D and multiple sclerosis
Lancet Neurology, 2010
KEY MESSAGE
La supplementazione di vitamina D potrebbe avere effetti positivi sul rischio di sclerosi multipla. Il
rischio di sviluppare Sclerosi Multipla (SM), patologia del Sistema Nervoso Centrale e causa di disabilità
tra giovani adulti, è determinato dalla combinazione di fattori genetici e ambientali. L’ipotesi che la
carenza di vitamina D fosse uno dei fattori ambientali coinvolti nella SM fu avanzata molti anni fa e ha
trovato credibilità con la scoperta della sua azione immunomodulatoria. OBIETTIVO DELLO STUDIO
Fornire un’analisi critica degli studi epidemiologici sulla vitamina D e il rischio di sviluppare SM, e
sull’implicazione che tale vitamina ha nella prevenzione e trattamento della SM. DISEGNO DELLO
STUDIO Si tratta di un’ampia review che cerca di fornire un quadro complessivo sull’argomento
vitamina D e SM analizzando i principali studi pubblicati negli ultimi anni. RISULTATI Sulla base degli
studi epidemiologici analizzati in questa review, sono stati individuati tre motivi per cui la carenza di
vitamina D costituisce un fattore di rischio per la SM: la frequenza di SM aumenta alle latitudini più alte
la prevalenza alle altitudini più alte è inferiore all’attesa nelle popolazioni che consumano più pesce
grasso il rischio di SM diminuisce nelle popolazioni che si trasferiscono e vivono alle latitudini più
basse Altri studi evidenziano una stretta correlazione tra bassi livelli di 25(OH)D e rischio di sviluppare
la SM e come il rischio di sviluppare la SM diminuisce significativamente all’aumentare dei livelli di
25(OH)D.
CONCLUSIONI
Dall’analisi degli studi analizzati nella review, gli autori concludono che si potrebbe prevenire la
Sclerosi Multipla se si aumentassero i livelli di 25(OH)D, ma sono necessari ampi studi interventistici
per chiarire le numerose questioni ancora irrisolte sul binomio vitamina D-Sclerosi Multipla.
SM e Vitamina D: l’intervista con Maria Cristina Gauzzi
21/10/2011
Ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Sanità, è presente ad ECTRIMS 2011 con uno studio
sull’attività immunomodulatoria della vitamina D nella sclerosi multipla. La nostra intervista
La Dottoressa Maria Cristina Gauzzi – ricercatrice del Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze
presso l’Istituto Superiore di Sanità – è presente in questi giorni all’ECTRIMS (European Committee for
Treatment and Research In Multiple Sclerosis), dove presenta uno studio di ambito immunologico,
sull’attività immunomodulatoria della vitamina D nella SM. Per il nostro Speciale dedicato all’ECTRIMS
ci illustra i risultati ottenuti dal suo team
Nel quadro globale della ricerca sulla SMI, come si collocano gli studi che presenta all’ECTRIMS?
«L’interesse principale del nostro gruppo è lo studio dell’attività immunomodulatoria della vitamina D.
La vitamina D è associata generalmente al mantenimento della “salute” delle nostre ossa (la sua
mancanza è la causa del rachitismo), ma è in realtà un ormone dotato di molteplici attività, inclusa la
capacità di regolare le funzioni delle cellule del sistema immunitario. La principale fonte di vitamina D
per il nostro organismo è l’esposizione al sole, anche se piccole quantità ne possono essere introdotte
con la dieta. La carenza di questa vitamina è emersa negli ultimi anni come un importante fattore di
rischio legato all’ambiente, e dunque potenzialmente modificabile, nell’insorgenza della SM. Si è anche
ipotizzato che possa essere di beneficio nella cura della malattia. L’obiettivo della nostra ricerca è dare
un contributo alla comprensione dei meccanismi alla base di questi potenziali effetti benefici. In
particolare, ci occupiamo dello studio dell’attività della vitamina D su un tipo particolare di cellule del
sistema immunitario, le cellule dendritiche. Queste cellule istruiscono i linfociti a distinguere tra
molecole estranee, che innescano una risposta immunitaria, e molecole proprie, che il sistema
immunitario deve “tollerare” e non attaccare. La vitamina D favorisce proprio questo stato di
tolleranza, e contrasta l’infiammazione. La nostra ipotesi è che un’alterazione della capacità delle
cellule dendritiche di sintetizzare o rispondere alla vitamina D possa contribuire alla patologia
autoimmunitaria che sostiene la neurodegenerazione nella SM. Ipotizziamo anche che la vitamina D e
l’interferone (IFN) possano cooperare nel limitare questa patologia. Stiamo quindi svolgendo uno
studio mirato alla comparazione del metabolismo e dell’attività della vitamina D, e della sua relazione
con l’IFN, in cellule dendritiche di persone sane o con SM».
Dal punto di vista scientifico qual è il contributo, il valore della ricerca che presenta all’ECTRIMS?
«La parte di lavoro che presentiamo al congresso è legata all’osservazione che la vitamina D ha una
caratteristica in comune con l’IFN: la capacità di indurre, nelle cellule che noi studiamo, la produzione
di una proteina chiamata CCL2. CCL2 appartiene alla famiglia delle “chemochine”, piccole proteine in
grado di attrarre e orientare il movimento delle cellule. CCL2 in particolare attrae diverse cellule del
sistema immunitario, e, come già detto, la sua produzione è regolata anche dall’IFN. La nostra ipotesi di
lavoro è che l’induzione di questa proteina da parte della vitamina D possa essere un meccanismo
protettivo, che mantiene le cellule immunitarie nel sangue, contrastando la loro migrazione nel sistema
nervoso centrale dove potrebbero contribuire all’infiammazione».
Che ritorni possono avere nell’immediato futuro sulla vita delle persone con SM gli esiti degli studi che
sta presentando? Si riesce a identificare un orizzonte temporale entro cui dalle ricerche che state
effettuando si avranno ritorni diretti per una vita di qualità oltre la SM?
«L’attività immunoregolatoria della vitamina D è attualmente oggetto di una intensa ricerca preclinica
e clinica per i suoi possibili benefici in persone con la SM. Almeno tre “trials” clinici sono in corso nel
mondo per valutarne l’efficacia nella SM recidivante-remittente, ed in uno di questi viene utilizzata
come supplemento in pazienti in terapia con l’IFN. Con la nostra ricerca, speriamo di contribuire ad
identificare meccanismi cellulari e molecolari alla base dei possibili effetti benefici della vitamina D e
anche di possibili interazioni con l’IFN. Poiché il nostro non è uno studio clinico, è difficile dare un
orizzonte temporale entro il quale si avranno ritorni diretti per una vita di qualità oltre la SM. La
previsione che però mi sento di poter fare è che entro 3-5 anni si avrà una risposta alla domanda se la
vitamina D possa modificare il corso della malattia. La risposta a questa domanda verrà appunto dagli
studi clinici già in atto e da altri che senza dubbio cominceranno nell’immediato futuro, considerando il
generale consenso nella comunità scientifica sulla loro necessità».
Dovesse mandare un messaggio alle persone sullo stato globale della ricerca nella SM, sul quadro
complessivo che le sembra possa emergere all’ECTRIMS e sulle principali conquiste che ci possiamo
aspettare nei prossimi anni, cosa direbbe?
«Sono entrata nel campo della ricerca nella SM solo recentemente (da meno di due anni), e sono
rimasta sinceramente colpita dalla sua vitalità e dal rapido avanzamento delle conoscenze, grazie
anche allo sforzo coordinato di ricercatori e associazioni. Dovendo scegliere tra tanti, un tema molto
attuale è il ruolo del sistema immunitario nella malattia, tema sul quale stanno convergendo ricerche
provenienti da campi diversi, come lo studio delle cellule staminali e quello del genoma umano. Si sta
scoprendo infatti che le cellule staminali, una grande promessa terapeutica per la loro intrinseca
capacità rigenerativa, sono anche dotate della capacità di modulare la risposta immunitaria inibendo le
componenti del sistema immune responsabili della distruzione dei tessuti. Per quanto riguarda lo
studio del genoma umano invece, le tecniche di sequenziamento di nuova generazione hanno aperto la
possibilità di ottenere quantità di dati impensabili fino a pochi anni fa. Uno studio recentissimo,
pubblicato ad agosto sulla rivista Nature, ha portato all’identificazione di 29 nuovi geni associati al
rischio di SM (in precedenza ne erano noti solo una ventina, sono stati quindi più che raddoppiati), la
maggior parte dei quali è implicata proprio nella risposta immune. Il potenziale futuro dei dati è
enorme poiché questi geni potrebbero influenzare il decorso della malattia ed essere nuovi bersagli
terapeutici o “markers” di diagnosi/prognosi precoce».
Dovesse trovare un titolo “da giornale” (ossia divulgativo) per la sua ricerca, quale sceglierebbe?
«La vitamina che viene dal sole potrebbe aiutare nella prevenzione e cura della SM

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