FUNGHI RADIOATTIVI DALL’EST
13.10.2002 – Trieste
Bloccati alla frontiera di Trieste e rispediti nei Paesi d’origine. é la sorte toccata a porcini, prataioli, chiodini, ovuli e vari altri tipi di funghi, che sono risultati avere livelli di radioattività superiori ai limiti fissati dalla legge. A fare i controlli (una cinquantina all’ anno) sulle partite «sospette», é l’ Istituto di chimica inorganica e delle superfici del Cnr di Padova, in collaborazione con l’ Università di Trieste. Obiettivo del monitoraggio, realizzato con una strumentazione portatile, é quello di evitare l’ ingresso nella penisola di prodotti alimentari contaminati da Chernobyl.
A 16 anni di distanza dall’ incidente alla centrale nucleare ucraina, infatti, spiega Sandro Degetto, dell’ Istituto del Cnr, «il rischio é ancora alto. Il radiocesio, infatti, ha una vita lunga e dimezza la sua attività soltanto dopo 30 anni. Quindi, é ancora frequente trovare quantità di questa pericolosa sostanza nei funghi ed in altri prodotti alimentari».
Negli ultimi 2 o 3 anni, ha aggiunto, «nelle partite di funghi provenienti dai Paesi dell’ Est europeo (Romania, Bulgaria, ex Jugoslavia, ecc.) abbiamo riscontrato almeno una decina di volte superamenti dei limiti fissati in 600 bequerel/chilogrammo. Abbiamo quindi segnalato il fatto alle autorità competenti che hanno provveduto a rispedire al mittente i prodotti a rischio per la salute».
Ma non c’ é soltanto la contaminazione proveniente da Cernobyl nel mirino dei ricercatori del Cnr. Allarmi sono arrivati anche per la possibile contaminazione di prodotti alimentari da uranio impoverito a seguito degli oltre 42.000 proiettili sparati nei Paesi dell’ ex Jugoslavia durante le operazioni militari della Nato tra il 1995 ed il 1999. Su questo fronte, comunque, ha rassicurato Degetto, «finora non abbiamo riscontrato presenza significative nei funghi ed in altri alimenti».
Attenzione massima, quindi, per i funghi che arrivano dall’ Est europeo, ma non basta scegliere soltanto quelli made in Italy per scongiurare pericoli di contaminazione. Infatti, ricorda il ricercatore del Cnr, «nei giorni seguenti all’ incidente alla centrale di Cernobyl (le prime due settimane circa del maggio 1986) in tutta l’ Italia del Nord Est ci sono state piogge intense e ciò ha determinato la deposizione al suolo di una certa quantità di radionuclidi proveniente dall’ impianto nucleare».
Fonte: Il Messaggero Veneto
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