Privacy Policy Ambiente, Immunità e Coronavirus: Ruolo della Micomedicina - Micomedicina

Ambiente, Immunità e Coronavirus: Ruolo della Micomedicina

Riassunto: Una carrellata scientifica su quanto risulta possano incidere i cambiamenti climatici uomo-indotti  sull’attuale recrudescenza epidemica del Covid-19 e sulle connessioni con la risposta immunitaria delle popolazioni. Per ultimo due presidi fondamentali della Micomedicina contro il Covid-19: Cordyceps militariis e sinensis  e Fomitopsis officinalis

Cambiamento climatico, ma anche deforestazione, pratiche agricole senza regole, allevamenti intensivi, perdita della biodiversità. E su tutti, la globalizzazione. Di questo, ed altro, è figlio il SARS-Cov2 o Covid-19. Un collegamento, apparentemente difficile da capire, ma lo possiamo invece intuire secondo  l’ipotesi più accreditata (il salto di specie all’uomo dal virus proveniente dai  pipistrelli passando per qualche animale intermedio); secondo questa ipotesi si è trattato di una catena di eventi inizialmente rari, che si sono poi amplificati ed espansi in modo esponenziale favoriti  proprio dai cambiamenti climatici e da situazioni conseguenziali ed innaturali fonte di reiterati contatti pipistrello-animale—uomo anche connessi all’uso alimentare o altro. Se guardiamo alle malattie infettive emergenti negli ultimi 70-80 anni usando ad esempio modelli di distribuzione spaziale, il rischio più elevato è nelle aree ad elevata biodiversità ma in cui vi sia anche una elevata densità di popolazione con crescente consumo di territorio ed elevati livelli di inquinamento.

Per alcuni patogeni come ad esempio il virus Ebola, parente stretto del nostro Covid-19, la relazione con le azioni umane (deforestazione)  è chiarissima e perfino nella malaria, nella cui diffusione è riconoscibile la traccia di antiche deforestazioni. Secondo alcuni studi più del 25% delle malattie infettive emergenti e più del 50% delle malattie zoonotiche nell’uomo sono dovute al consumo del territorio, in particolare il ruolo decisivo degli allevamenti di maiale e di pollame, serbatoi di diffusione e replicazione di virus come i Coronavirus, H1N1, H7N9 etc. Inoltre in riferimento alla comorbilità che abbiamo visto rappresenta un fattore fondamentale di questa epidemia come elemento essenziale del deficit di risposta immunitaria e del deficit di funzione di organi molto importanti come il cuore ed i polmoni, l’ inquinamento atmosferico generato dai combustibili fossili è un importante fattore di rischio sia per le malattie cardiache che per quelle polmonari e respiratorie (fumo degli incendi-ricordate l’Australia?-, le ondate di calore, l’aumento dell’ozono a livello del suolo). L’aumento delle temperature e le variazioni nelle precipitazioni influenzano la distribuzione geografica e la maggiore attività di insetti portatori di malattie mentre l’esposizione al particolato  (minore di 2,5 micrometri di diametro) è associata ad un aumentato rischio di ospedalizzazione e morte per malattie cardiovascolari. Gli inquinanti atmosferici hanno effetti negativi sulla funzione endoteliale, sul tono vascolare, con rischio di trombosi e aterosclerosi. Nel caso specifico cominciano ad esserci  studi importanti sul ruolo fondamentale dell’ambiente. L’analisi dei PM10 dal 21 Febbraio al 13 Marzo dei campioni (34) di aria ambientale di siti industriali della Provincia di Bergamo è stata oggetto di pubblicazione (Position Paper) dal titolo “Valutazione della potenziale relazione tra l’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell’epidemia da Covid-19”, da parte della  Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA). L’analisi effettuata dall’ dall’Università di Trieste ha verificato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP, quest’ultimo altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV-2. Secondo De Gennaro (SIMA) “questa è la prima prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente, suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus SARS-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti”. “La prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio”, prosegue De Gennaro. A tal proposito, l’epidemiologo Prisco  Piscitelli spiega: “Ad oggi le osservazioni epidemiologiche disponibili per Italia, Cina e Stati Uniti mostrano come la progressione dell’epidemia Covid-19 sia più grave in quelle aree caratterizzate da livelli più elevati di particolato. Esposizioni croniche ad elevate concentrazioni di particolato atmosferico, come quelle che si registrano oramai da decenni nella Pianura Padana, hanno di per sé conseguenze negative sulla salute umana, ben rilevate e quantificate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, rappresentando anche un fattore predisponente a una maggiore suscettibilità degli anziani fragili alle infezioni virali e alle complicanze cardio-polmonari. Ulteriori ricerche  dovranno spingersi fino a valutare la vitalità e soprattutto la virulenza del SARS-CoV-2 nel particolato. Intanto, la presenza del virus sulle polveri atmosferiche è una preziosa informazione in vista dell’imminente riapertura delle attività sociali, che conferma l’importanza di un utilizzo generalizzato delle mascherine da parte di tutta la popolazione. Se tutti indossiamo le mascherine, la distanza inter-personale di 2 metri è da considerarsi ragionevolmente protettiva permettendo così alle persone di riprendere una vita sociale”.

Quindi, per rispondere alla prima parte del titolo: ci può essere una correlazione fra cambiamenti climatico-ambientali ed epidemia da Covid-19 ? La risposta non può che essere affermativa.

Passiamo ora alla parte immunità delle popolazioni. L’Università di Lund in Svezia ha condotto una serie di ricerche sulle periodiche morìe di uccelli che si manifestano un po’ tutto il mondo, l’ultima in ordine cronologico è l’attuale morìa in Germania (11 mila uccelli morti al 20 Aprile), quasi sempre sotto accusa l’inquinamento EMG e in questi ultimi casi il 5G; e le conclusioni a cui sono arrivati sono state che, come in quest’ultimo caso dove è stato ritrovato un batterio solitamente non patogeno,  sotto accusa è la mancata reattività del Sistema Immunitario che risulta improvvisamente incapace a livello di popolazione (epidemico) tale da rendere letali virus o batteri con cui solitamente si conviveva pacificamente.  “L’evoluzione potrebbe non riuscire a stare al passo con il riscaldamento globale” spiega Emily O’ Connor , che ha partecipato allo studio. Dunque c’è il rischio che molti animali non saranno in grado di gestire l’aumento e la diversità degli agenti patogeni che dovranno affrontare, al variare, spesso repentino, delle condizioni climatiche. Le attività del genere umano hanno determinato un variare repentino climatico con fenomeni estremi sempre più frequenti e un aumento del riscaldamento globale e dell’inquinamento, tale da creare una cronica sofferenza del Sistema Immunitario degli animali più vulnerabili a tali cambiamenti ivi compreso l’animale uomo nelle sue categorie più a rischio (anziani e/o con pluripatologie). Tutto questo è invece un invito a nozze per i microbi che vengono combattuti dal Sistema Immunitario.  

Purtroppo per i mammiferi,  ci sono i Virus, funghi, protozoi e batteri che hanno conquistato il pianeta 3 miliardi di anni prima degli altri animali e sono la maggioranza, il 60% della massa vivente. Dei 100.000 miliardi di cellule che abbiamo nel corpo umano, il 90% sono microbi, infinitamente più piccoli, tappezzano superfici interne ed esterne e quando escono sono un terzo delle feci. Una coabitazione affinata in milioni di anni di convivenza in cui gli organismi superiori hanno imparato a fermare le invasioni dei microbi senza distruggerli del tutto, perché sono utili. Come i batteri che digeriscono la cellulosa nell’intestino degli erbivori o nel nostro degradano i sali biliari e producono le vitamine. O, semplicemente, tappezzano intestino e pelle impedendo ai microbi dannosi di impiantarsi. Tutti i meccanismi temporali di equilibrio e simbiosi delle popolazioni, base di regolazione dell’evoluzione da centinaia di migliaia di anni a questa parte,  oggi è messa in discussione dai cambiamenti climatici di cui l’uomo è la principale causa. Ma oltre ad essere tanti all’interno e fuori dall’uomo e ad esserci da molto tempo prima di noi, da parte loro i microbi, proprio perché più semplici e spesso con funzioni essenziali da non-viventi quali i virus, riescono ad adeguarsi a livello evolutivo alle variazioni climatiche molto più velocemente e con più efficienza degli animali, conquistando nicchie ecologico-trofico/ambientali dove poter prosperare a scapito degli organismi più evoluti. L’evoluzione è il cambiamento genetico, e dunque morfologico, anatomico e fisiologico, delle specie viventi nel corso delle generazioni. E’ determinata sia da variazioni casuali dei tratti ereditari (mutazioni genetiche), sia da meccanismi che ne modificano rapidamente la frequenza a livello di popolazione, in particolar modo la selezione naturale. Questo termine definisce le differenze di propagazione tra vi tratti ereditari: quelli favorevoli per la sopravvivenza e la riproduzione aumentano di frequenza da una generazione all’altra, quelli sfavorevoli si riducono fino a scomparire. In sostanza l’evoluzione è l’adattamento graduale degli organismi al proprio ambiente per mezzo di piccole variazioni il cui accumulo è favorito dalla selezione naturale. La velocità di adattamento all’ambiente che cambia è inversamente proporzionale alla complessità degli organismi, più è complesso più ha bisogno di tempo per adattarsi, anche se l’uomo ritiene di aver ovviato a questo potenziale handicap nei confronti delle specie più semplici, considerando che è l’organismo vivente più complesso presente sulla terra,  modificando a proprio vantaggio l’ambiente che lo circonda, essendo tra l’altro proprio  questo il motivo dei cambiamenti climatici. D’altra parte arrivati a questo livello di vita “artefatta” non può far altro che continuare in questa folle corsa tallonato dalle specie microbiche, in particolare i virus, che subiscono la selezione naturale nei microambienti che l’uomo stesso ha prodotto ma con più velocità ed efficienza di altri. E si fanno trovare pronti quando è l’ora di dar vita al banchetto, all’epidemia.  Basta un semplice calcolo delle probabilità per accorgersi di quanto illusorio sia il vantaggio che pensiamo di avere (grazie alla tecnologia) nei confronti dei microbi in genere ma soprattutto dei virus che, in quanto parassiti, colonizzano e si riproducono nelle nicchie trofico- ecologico-ambientali,  determinate dai cambiamenti climatici  adattandosi  velocemente con mutazioni a livello genetico che permettono di  riprodursi nell’animale, ospite intermedio, ed infine nell’uomo, laddove i meccanismi di difesa immunitaria siano deficitari e rendano possibile lo sbaragliamento delle linee di difesa immunitarie. Ma che cos’è l’Immunità? 

L’immunologia è la disciplina che studia i meccanismi di difesa dalle infezioni (immunità) a livello di organi, cellule e singole molecole. E’ definita anche come la scienza che studia le “frontiere” del corpo umano.  Significa capacità di riconoscere e far passare o neutralizzare ciò che è bene da ciò che è male per l’organismo. In questo senso funzionano le “barriere” o “frontiere” come quella mucosa o della pelle (barriere fisiche) superate le quali, se l’ospite non è gradito vi è sempre una reazione o risposta  infiammatoria e poi quella immunitaria. Qualunque sostanza estranea all’organismo rimane parte dell’ambiente fino a quando non viene assorbita dall’intestino e trasportata nel sangue.             

Il sistema immunitario ha lo scopo di difendere l’organismo dagli invasori esterni (virusbatterifunghi e parassiti), che possono penetrare al suo interno attraverso l’aria inalata, il cibo ingerito, i rapporti sessuali, le ferite ecc.

Oltre ai patogeni (microrganismi potenzialmente in grado di provocare malattia), il sistema immunitario combatte anche le cellule dell’organismo che presentano anomalie, come quelle tumorali, danneggiate o infettate da virus.

Il sistema immunitario ha tre funzioni principali:

  1. protegge l’organismo dagli agenti patogeni (invasori esterni che causano malattie)
  2. rimuove le cellule ed i tessuti danneggiati o morti ed i globuli rossi invecchiati
  3. riconosce e rimuove le cellule anomale, come quelle tumorali (neoplastiche)

L’essenza  della funzione immunitaria degli animali superiori è quindi: il riconoscimento dell’estraneo e la capacità di memorizzazione. Nel corpo umano l’attività di riconoscimento è gestita da due diversi tipi di immunità: l’immunità innata e l’immunità adattativa. La prima si affida ad un sistema piuttosto grezzo, e non ricorda cosa ha visto in passato, la seconda ha una raffinatissima capacità di riconoscimento, e riesce ad archiviare nella sua memoria ogni interazione avuta in precedenza con ciascuna specifica sostanza estranea. Il S. I. Innato (Immunità innata) è il primo e più antico meccanismo di difesa dalle infezioni. Rapido e non specifico agisce contro un’ampia gamma di microrganismi. Tra le molecole che riconoscono le sostanze grossolanamente estranee al corpo umano le più importanti sono i  toll-like receptors  (TLR) recettori proteici presenti sulla superficie di cellule dette  dendritiche  che legandosi ad alcune particolari molecole (ligandi) provoca una reazione immunitaria. Le cellule dell’Immunità adattativa, i linfociti , hanno invece capacità di riconoscere miliardi di strutture molecolari diverse, e grazie alla sua memoria è in grado di elaborare risposte rapide e potenti contro microrganismi già noti, verso i quali ci rende immuni (immunità adattativa).I recettori proteici che regolano questo filtro molecolare sono di due gruppi: gli anticorpi  dei linfociti B, presenti nel sangue con il nome di immunoglobuline, e i recettori delle cellule T, che appartengono ai linfociti del gruppo T. Una volta riconosciuta (e ricordata) una struttura chimica estranea, la risposta del sistema immunitaria può essere da un lato la reazione , dall’altro l’accettazione. Nel caso della reazione immunitaria vengono coinvolti Anticorpi e le cellule Killer. Oltre al riconoscimento e alla memorizzazione, le cellule del S.I. hanno altre 3 caratteristiche: la capacità di comunicare tra loro, la mobilità, e la presenza di un marchio genetico.  Vediamo quest’ultima. Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC) è costituito da una serie di molecole presenti sulla superficie di quasi tutte le cellule umane identiche all’interno di ciascun individuo e diverse da qualsiasi altro ed è detto “polimorfismo a livello di popolazione” e rappresenta un gruppo di geni che controllano alcuni aspetti dell’immunità adattativa, tra cui le risposte ai virus. La vera funzione del MHC consiste nel mediare una rete di interazioni che coinvolge una delle due famiglie di molecole preposte al riconoscimento delle sostanze estranee come i recettori dell’antigene delle cellule T., poiché le cellule T, a differenza delle cellule B, non riconoscono le sostanze estranee nelle loro conformazione nativa, tridimensionale, ma solo dopo che sono state spezzate e inserite all’interno delle molecole del MHC, che è esattamente ciò che accade nel caso dei virus. Questo rappresenta un meccanismo di sicurezza probabilmente selezionato a livello filogenetico per la specie umana che consentirebbe una sopravvivenza maggiore in caso di presenza di un virus letale perchè ogni membro della specie ha un proprio MHC con una specifica chiave di lettura genica su cui si può inserire il virus ma che non può valere per tutti gli altri dando chances di sopravvivenza alla specie enormemente amplificate rispetto agli altri animali, come ad esempio il ghepardo che hanno un solo MHC e che presumibilmente discendono dai pochi individui sopravvissuti a un’epidemia che li ha in gran parte sterminati. Fatto salvo quanto già detto sulla comorbilità ed il deficit immunitario di popolazioni anziane, questo spiegherebbe anche la grande capacità di adattamento e di convivenza -“non belligeranza”- che l’uomo ha con i vari ceppi virali, la variabilità di risposta al Covid-19 di diverse popolazioni nel mondo con la forte letalità (al di là di un supposto differente ceppo virale) del Nord Italia Vs bassa letalità della Germania ed anche all’interno di territori limitrofi (Veneto e Lombardia) e motivo dei molti pauci-asintomatici tra i soggetti immunocompetenti o immuno-tolleranti ed elemento di riflessione sull’”immunità di gregge”.

Un cenno alle strategie terapeutiche. C’è speranza attorno ad un farmaco il quale contrariamente a quanto ci si possa aspettare, deprime la risposta immunitaria ed è utilizzato in oncologia e nell’artrite reumatoide come immunosoppressore potendo mitigare gli effetti collaterali di alcune immunoterapie oncologiche e nell’A.R.. Stiamo parlando del Tocilizumab, un anticorpo monoclonale che agisce su un mediatore dell’infiammazione, l’Interleuchina 6 (IL-6) , proposto dai medici dell’Istituto Pascale di Napoli ed  attualmente in sperimentazione multicentrica e con stimolanti risultati iniziali contro il Covid-19. Qual è il razionale?  La sperimentazione parte da una semplice osservazione dei medici napoletani, il danno maggiore prodotto dal Covid-19, cioè la polmonite interstiziale, è dovuta all’eccessiva reazione del Sistema Immunitario che per il tramite dell’iperproduzione del mediatore dell’infiammazione (IL-6) danneggia la parete degli alveoli polmonari. Il Tocilizumab sembra capace di spegnere questa reazione spropositata e quindi limitare il danno polmonare. La risposta infiammatoria acuta o sistemica, abbiamo visto, fa parte della prima fase, comune, quella della risposta immunitaria innata. I sintomi (febbre, edema e rossore con > ACTH  ormoni corticosteroidei e produzione proteine della fase acuta da parte del fegato insieme agli altri fattori come il Complemento, Prot. C reattiva etc etc  ) sono dovute all’azione combinata di IL-1 e IL-6 e TNF alfa.  L’IL-6 è molto più  potente delle altre e subisce una blanda azione di contenimento diretto  dall’IL-1, se fosse per lei andrebbe sparata ad infiammare a più non posso. Ed è quello che succede nel caso delle polmoniti da Covid-19. Fortunatamente però  abbiamo un “Pompiere” che spegne l’infiammazione rendendo non più necessaria l’azione dell’IL-6 e che agisce indirettamente sull’infiammazione  tramite gli Interferoni, in particolare l’IFN gamma,prodotto dai Linfociti NK (Natural Killer) che vengono definiti così perché una volta attivati (dalle cellule dendritiche su antigeni processati dal complemento) producono IFN che spinge le cellule infettate dal virus al “suicidio” tramite un meccanismo noto come apoptosi. A differenza degli altri linfociti (B e T) caratteristici della risposta immunitaria acquisita, i linfociti NK non riconoscono specificatamente l’antigene (non hanno recettori specifici) e per questo fanno parte dell’immunità innata. Nell’infezione da Covid-19 deve agire l’Immunità Innata, visto che è un nuovo virus e non c’è memoria immunitaria, ed il primo step è la risposta aspecifica con l’infiammazione, ma risulta  fuori controllo perché l’IL-6 è iperprodotta essendo carente il “Pompiere” l’IFN gamma prodotto dai linfociti NK ed il perché ci sono pochi Linf.T Natural Killer attivati risiede proprio nella deflessione della risposta immunitaria negli anziani ed in corso di malattie croniche dove c’è sempre carenza di produzione di IFN, ma vale anche quanto detto prima sia sul ruolo dell’MHC che su quello delle cellule dendritiche nelle popolazioni. Naturalmente caposaldo della Micomedicina sarà l’attivazione delle NK tramite i funghi, in particolare per la presenza dei Beta-Glucani, che grazie alle loro ramificazioni si comportano stereochimicamente a mò di cellule dendritiche attivando i NK mentre li nutrono nelle placche del Peyer dell’intestino eubiotico, oppure attraverso piante come l’Astragalo, l’Uncaria e l’Echinacea che possiedono molecole analoghe o precursori dell’IFN. Torniamo a noi, alla Micomedicina. Nello scorso articolo abbiamo già accennato ad un grande fungo : il Cordyceps militaris  con percentuali molto elevate di Cordycepina una 5-adenosina, un simil-nucleotide considerato come l’antibiotico degli Acidi Nucleici  nell’essere convertita a livello intracellulare nel suo 5 mono-di e trifosfato che inibisce l’attività di diversi enzimi implicati nella via biosintetica purinica con notevole attività anticancerosa ed antivirale (Masuda et. Al. 2004); e la somministrazione orale di un estratto acquoso di C. sinensis ad animali da laboratorio ha dimostrato attivazione di macrofagi con > produzione di GM-CSF e IL-6 con azione immunostimolante sul S.I. ( Koh et al. 2002).  Inoltre la Cordycepina, differisce dall’adenosina costituente le catene DNA/RNA dall’assenza di ossigeno nella posizione 3 della sua parte ribosio (zucchero), per questo alcuni enzimi non possono distinguerla da quella “normale” in particolare nella sintesi delle catene DNA/RNA e utilizzandola si provoca l’interruzione della biosintesi di acidi nucleici e quindi si blocca la replicazione dei Virus qualora da essi utilizzata per replicarsi.

Ma il Re dell’attività antibatterica e antivirale è senza ombra di dubbio il Fomitopsis officinalis ovvero l’ Agarikon. Parassita delle conifere soprattutto del Nord America, è anche saprobionte dopo che l’albero muore.I carpofori sono perennni  e possono arrivare anche ad oltre 50 anni, sono cilindrici  e possono raggiungere facilmente i 50 cm di diametro di circonferenza. Possiede attività antibatterica testata  (Mycobacterium tubercolosis e Staphylococcus aureus) ed antivirale (gruppo Orthopoxvirus cui appartiene il morbillo). Paul Stamets riporta che un estratto (1-2%) di F. officinalis  riduce il danno cellulare virale-indotto  del 50% e laddove l’estratto diluito crudo (1:10^x6) è riportata una grande efficacia contro diversi virus inclusi l’herpes, l’Influenza A, Influenza B. inoltre l’estratto acquoso di F. officinalis  mostra attività antivirale contro l’Influenza umana (H3N2) e aviaria (H5N1). Tra le altre attività è di rilievo quella anti-infiammatoria e antitumorale (triterpenoidi).

Si ricorda inoltre l’azione immunostimolante dell’ Uncaria tomentosa (unghia di gatto)  estratto T.M. di corteccia da proseguire a quella dell’Astragalo (Astragalus membranaceus)(radice) T.M.e per finire a quella dell’ Echinacea angustifolia (foglie) T.M.per sfruttare l’effetto ascendente radice-foglie degli Oli Essenziali.  

Seguiranno due articoli uno sul Cordyceps e uno sul Fomitopsis. Buona lettura!

Micomedicina ONLUS

Il Presidente

Dott Maurizio Bagnato                              micomedicina©2020                     

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