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VITAMINA D E CANCRO

Il miracolo della vitamina D: che c di vero?


di MARTIN MITTELSTAEDT – 12 marzo 2008 – Traduzione per Disinformazione.it a cura di Stefano Pravato Nellestate del 1974 ai fratelli Garland, Frank e Cedric, venne lidea eretica. I giovani epidemiologi stavano partecipando a una conferenza sui tassi di mortalit per cancro, contea per contea, negli Stati Uniti. Seduti nellaula dellUniversit Johns Hopkins di Baltimora, mentre osservavano le carte geografiche colorate a seconda dei casi di cancro, notarono una suddivisione evidente, maggiormente pronunciata per il cancro al colon. Le contee con i tassi pi elevati erano in rosso; quelle con tassi bassi erano blu. Stranamente, la nazione era divisa in due quasi perfettamente, rosso al nord e blu al sud. Perch, si chiesero, il rischio di morire di cancro era maggiore nel bucolico Maine piuttosto che nella maggiormente inquinata California del Sud? I due giunsero al Johns Hopkins qualche giorno dopo, guidando la propria Mustang da casa loro a San Diego. Frank stava per cominciare gli studi universitari e Cedric il suo primo impiego come professore. Era luglio e il viaggio attraverso lassolato Sud forn loro un idea mentre stavano studiando le carte geografiche del cancro: lesposizione al sole cambia drasticamente a seconda della latitudine. Poteva forse questo spiegare le differenze dei tassi di cancro? La loro ipotesi, sviluppata meticolosamente e pubblicata sei anni dopo nellInternational Journal of Epidemiology, era che la luce solare avesse un potente effetto anti-cancro dovuto al suo ruolo nella produzione di vitamina D nella pelle esposta al sole. Quelli che vivono a latitudini settentrionali, teorizzarono, ricevono meno radiazione solare e producono meno vitamina, fatto che determina laumento del rischio di morire di cancro.Leggi tutto

VITAMINA D2 VS D3

Uno studio dellUniversit di Boston ha mostrato che la vitamina D2 altrettanto efficace della vitamina D3

Vitamina D2 efficace come vitamina D3 nel mantenere concentrazioni circolanti di 25-idrossivitamina D.


Holick MF , Biancuzzo RM , TC Chen , EK Klein , giovane A , Bibuld D , Reitz R , W Salameh , Ameri A , Tannenbaum AD . CONTESTO: Due relazioni hanno indicato che la vitamina D2 meno efficace della vitamina D3 nel mantenere lo stato della vitamina D. OBIETTIVO: Il nostro obiettivo stato quello di determinare se la vitamina D2 meno efficace della vitamina D3 nel mantenere livelli sierici di 25-idrossivitamina D o aumentato catabolismo di 25-idrossivitamina D3.Leggi tutto

Funghi per la digestione


L’intestino, con la sua notevole area di contatto con i prodotti della digestione (circa 300 metri quadrati di superficie), rappresenta uno tra i più importanti organi del corpo; svolge infatti importanti funzioni digestive, promuove l’assorbimento dei nutrienti e collabora con reni, pelle e polmoni nei processi di eliminazione dei rifiuti organici e delle tossine.

Gli ultimi tratti dell’intestino, il colon (o intestino crasso) e il retto, sono certamente la parte più importante perché in tale sede, grazie agli enzimi ed alla flora batterica, termina la digestione e vengono assorbite molte sostanze importanti: l’acqua, gli aminoacidi (i costituenti delle proteine) e parecchi dei prodotti medicinali eventualmente usati.

Ma affinché l’intestino possa funzionare correttamente occorrono due requisiti fondamentali:
– che la flora batterica presente sia attiva e qualitativamente adeguata per completare la digestione,
-che le pareti intestinali siano sufficientemente pulite per consentire un corretto assorbimento dei nutrienti.

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Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

novembre 26, 2013 in Articoli di Giornali, Studi Scientifici | Tags: intolleranza, Lactase Persistance,lattasi, latte, latticini

Ci sono un chimico, un paleogenetista e un bioarcheologo… No, non è l’inizio di una barzelletta dall’aria poco divertente, ma l’idea, semplice quanto innovativa, che sta alla base del progetto LeCHE (Lactase Persistence in the early Cultural History of Europe). Nato nel 2009 per rispondere ad alcune delle questioni aperte nell’evoluzione culturale umana, questo progetto sfrutta le diverse competenze di un team di ricercatori impegnati in varie discipline, che prese assieme hanno consentito un approccio da più direzioni per risolvere le molteplici sfaccettature dell’argomento.

Nell’articolo di resoconto del progetto apparso su Nature, troviamo conferme importanti che pongono fine anche a vecchie e sterili polemiche degli scettici.Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte. Ciò è dovuto a una mutazione comparsa in Europa circa 7500 anni fa, che ha dato origine a quello che viene definito allele LP (Lactase Persistance), condiviso oggi dalla maggior parte degli europei. In Africa Occidentale e Asia Meridionale sono poi apparse, in maniera indipendente, altre mutazioni che conferiscono ai portatori la capacità di digerire il latte. Un bell’esempio di convergenza adattativa.

Il processo biochimico alla base è semplice: (quasi) tutti i bambini possiedono un enzima, la lattasi, indispensabile per scindere il disaccaride lattosio presente nel latte materno.  Negli adulti questo gene è spento, e il costoso enzima smette di essere prodotto. O meglio, così era in tempi antichi per tutti gli esseri umani neolitici. E poi cos’è successo?  Qui interviene il progetto LeCHE: i fondatori si sono posti l’obiettivo di chiarire il ruolo del latte e del consumo di latticini nella scomparsa delle tribù di cacciatori-raccoglitori del Neolitico europeo, rimpiazzate da culture agricole. Le questioni in gioco sono molte: studiando le ossa degli animali allevati negli insediamenti mediorientali ed europei è emerso che i vitelli erano macellati prima dell’anno di età, anziché una volta raggiunto il peso massimo. Così facendo le vacche potevano essere munte per tempi più lunghi, ma la quantità di carne ottenuta dalla macellazione dei capi era minore. Ciò suggerisce che sia stata proprio la ricerca del latte vaccino ed ovino a spingere il processo di addomesticamento. Inoltre, con opportune analisi chimiche, sono state scoperte tracce di grassi del latte su cocci rinvenuti in insediamenti anatolici databili a 8500 anni fa, ben prima che la mutazione per la persistenza al lattosio facesse la sua comparsa. Le stesse analisi hanno chiarito inoltre il mistero attorno a un reperto dalla forma insolita rinvenuto in Polonia negli anni Settanta: un frammento di un recipiente in terracotta coperto di piccoli fori circolari. La scoperta di molecole grasse sulla superficie porosa della creta gli ha conferito una nuova dignità: si tratta infatti del più antico strumento per la caseificazione, utilizzato per separare la cagliata dal siero del latte.

Gli indizi raccolti dal gruppo LeCHE convergono attorno ad un unico scenario, con date e luoghi ben precisi. Alcune popolazioni anatoliche svilupparono, circa 10000 anni fa, le pratiche di agricoltura e allevamento, potendo così attingere alla risorsa latte, che avevano imparato a manipolare per renderla consumabile e facilmente trasportabile. A differenza del latte fresco, infatti, i latticini contengono concentrazioni molto inferiori, e quindi tollerabili, dello zucchero lattosio. Questa svolta segnò la nascita della caseificazione. Successivamente, muovendosi verso nord, prima in Grecia e quindi in Europa centrale, esportarono le nuove tecnologie, soppiantando le tribù autoctone di cacciatori-raccoglitori grazie alla cultura innovativa estremamente vantaggiosa. Questo dato è confermato da analisi molecolari su DNA antico sia umano che bovino. Circa 7500 anni fa comparve infine l’allele LP, il quale, provocando la persistenza dell’enzima lattasi anche in età adulta, fornì un enorme vantaggio selettivo ai portatori: si stima infatti che la prole di costoro godette di un aumento di fertilità del 19%. Seguendo l’onda migratoria verso nord, l’allele LP sbarcò quindi in Scandinavia e nelle Isole Britanniche, regioni in cui oggi il 90% della popolazione tollera il lattosio. Probabilmente il successo straordinario che la persistenza della lattasi ha incontrato a nord è dovuto al fatto che, in regioni fredde, i prodotti caseari si conservavano meglio e più a lungo, costituendo un’ottima protezione contro carestie, raccolti sfortunati e annate climaticamente avverse.

Si chiarisce dunque il quadro attorno a una delle molte prove degli adattamenti a cui è andato incontro Homo sapiens in epoca recente. Le tecniche oggi a disposizione permettono una precisione di analisi senza precedenti. Possiamo infatti osservare direttamente le tracce della selezione naturale in atto: il succedersi degli eventi può essere collocato in un luogo geografico e in un tempo accurati, figurando così uno scenario storico sempre più circoscritto di come lo scrutinio della selezione naturale ha modificato la nostra specie in tempi non troppo remoti. Ancor più interessante è la particolare forma di coevoluzione genetico-culturale che ha visto protagonisti la comparsa della persistenza della lattasi e la produzione di latticini. La mutazione che ha generato l’allele LP ha potuto diffondersi solo grazie al vantaggio che forniva ai portatori, e a sua volta l’unico modo attraverso cui questo processo poteva manifestarsi era che i fortunati avessero a portata riserve di latte fresco. Un cambiamento culturale ha generato una pressione selettiva e ha causato un’evoluzione biologica per selezione naturale. Una volta comparso l’allele, il consumo di latte e derivati trovò la strada spianata verso gli intestini dei Neolitici. Un’ultima menzione merita l’approccio utilizzato; la buona riuscita del progetto multidisciplinare schiude una linea guida per dirigere nuove analisi su altri adattamenti recenti inH. sapiens, come la capacità di digerire l’amido del grano o di assimilare l’alcool. Un brindisi dunque al lavoro del progetto LeCHE, ovviamente con un buon bicchiere di latte!

Sebastiano De Bona

Riferimenti:

Curry A., (2013). The milk revolution: when a single genetic mutation first let ancient Europeans drink milk, it set the stage for a continental upheaval, Nature 500: 20-22.

http://www.pikaia.eu/easyne2/LYT.aspx?Code=Pikaia&IDLYT=425&ST=SQL&SQL=ID_Documento%3D7116

Sostanze attive presenti nei funghi: L-Ergothioneina una nuova vitamina?

ergothioneina

L’ergotioneina EGT è un amminoacido, ossia un costituente delle proteine, derivato dall’istidina e contenente un atomo di zolfo. Questo composto naturale solubile in acqua è stato isolato per la prima volta nel 1909 in un fungo parassita, il Claviceps Purpurea, ovvero lo sclerozio della segale cornuta. Tuttavia, si è dovuto attendere più di un secolo prima di poterla sintetizzare in laboratorio. La FDA degli Stati Uniti ha riconosciuto questa molecola come «GRAS» (generally recognized as safe) vale a dire non tossica. Può essere utilizzata negli alimenti e nelle bevande funzionali nonché come integratore.

¤ La L-ergotioneina è sintetizzata da funghi e micro-batteri. Integrata nelle piante, viene ingerita dagli animali e dagli esseri umani attraverso il cibo. Le principali fonti alimentari sono i funghi commestibili, i fagioli neri e rossi, la crusca d’avena, l’aglio e alcune carni (fegato e rognone).
¤ Nei tessuti umani e animali, la L-ergotioneina si concentra negli organi sottoposti a un elevato livello di stress ossidativo: fegato, reni, cuore, epidermide, polmoni, milza, intestino tenue, sangue (in particolare negli eritrociti), ma anche nei tessuti oculari e nel plasma seminale.
¤ Alcune ricerche realizzate su tale sostanza hanno subito evidenziato le sue notevoli proprietà contro lo stress ossidativo e vi si riconosce un ruolo essenziale nelle malattie correlate all’invecchiamento. Inizialmente l’ergotioneina è stata utilizzata nel trattamento di importanti disfunzioni epatiche, per i casi di cataratta, nelle complicazioni del diabete o per le cardiopatie.
¤ Parimenti nel settore estetico si è riscontrata la possibilità di applicarla direttamente sull’epidermide per la prevenzione delle rughe e di altri segni di invecchiamento derivati dalle alterazioni foto-ossidative causate dal sole. Questa sostanza, naturalmente presente nella pelle, è in grado di contrastare l’effetto dei mediatori chiave coinvolti nell’invecchiamento cutaneo, in particolare nel fotoinvecchiamento della pelle.

L’unico antiossidante dotato di uno specifico sistema di trasporto
¤ A differenza di altri antiossidanti classici quali ad esempi le vitamine C ed E, la L-ergotioneina mostra l’eccezionale caratteristica di fissarsi al centro di alcune cellule. Di fatto essa possiede un gene che codifica una proteina di trasporto e gli consente di essere trasportata nelle cellule. Si tratta dunque di una potente sostanza antiossidante intracellulare, importante quanto l’ L-glutatione.
¤ Inoltre è risultata essere una potente sostanza chelante, ossia può associarsi a metalli pesanti tossici, proteggendo le cellule del sangue da qualsiasi forma di danneggiamento.
¤ Successivamente i ricercatori, interessati alle sue proprietà antiossidanti, hanno preso in considerazione i suoi effetti antiinfiammatori, in quanto l’ergotioneina agisce anche sull’interleuchina, una citochina proinfiammatoria.
¤ Nell’ambito dell’organismo umano, l’ergotioneina mostra dunque molteplici proprietà:

– disattiva le molecole di ossigeno reattivo (radicali liberi). Contrasta lo stress ossidativo e consente di ridurre i danni del DNA mitocondriale, l’ossidazione delle proteine e la perossidazione lipidica;
– chelata ovvero imprigiona diversi cationi metallici positivi;
– ha la possibilità di attivare gli enzimi antiossidanti come il glutatione perossidasi o il SOD, inibendo gli enzimi generatori del radicale superosside;
– diminuisce l’ossidazione delle diverse emoproteine come l’emoglobina e la mioglobina;
– protegge i mitocondri ;
– riduce gli effetti nocivi dei raggi ultravioletti;
– conserva e mantene i livelli di altri antiossidanti quali le vitamine C ed E, il glutatione e il SOD;
– protegge il cervello contro le neurotossine e svolge un ruolo utile contro la degradazione delle funzioni cognitive;
– favorisce la respirazione cellulare e la lipolisi dei grassi consentendo di aumentare le capacità energetiche e la resistenza all’esercizio fisico;
– infine, associata all’acido ialuronico, alla glucosamina, al collagene e all’unghia di gatto, consente di diminuire considerevolmente il dolore e migliorare la mobilità delle articolazioni, in particolare quelle coinvolte nei movimenti ridondanti dei lavoratori a turni, dopo sole sei settimane di trattamento.

¤ Attualmente la sostanza è ancora oggetto di numerosi studi, relativi ad esempio alle patologie respiratorie acute o ai problemi cutanei. Tuttavia la fonte comune sottostante risiede nel meccanismo dell’infiammazione. Questo infatti esprime la differenza sostanziale di questa sostanza che non si comporta come gli antiossidanti classici ma come un antiossidante “antinfiammatorio”.

L’unico antiossidante con emivita di trenta giorni
¤ Un ulteriore caratteristica che distingue questa sostanza dagli altri antiossidanti è che possiede un emivita molto lunga nell’organismo, pari a circa trenta giorni, in rapporto a quelle degli antiossidanti classici, che variano da 30 secondi a trenta minuti.

All’ergotioneina vengono associati quindi notevoli effetti positivi per le funzioni cognitive, per la vista, l’immunomodulazione, la salute polmonare, le funzioni riproduttive nonché diversi benefici a livello cutaneo. Tuttavia l’organismo non può sintetizzarla in alcun modo. Alcuni autori la ritengono simile a una vitamina, indispensabile per il buon funzionamento delle cellule. Oggi è possibile assumere questa sostanza essenziale come integratore.

L’accumulo di danni molecolari e cellulari, indotto dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS), è attualmente noto essere coinvolto nell’attivazione e nella progressione di diversi processi biologici e patologici, compresi: invecchiamento cellulare, patologie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer ed il Parkinson, e di patologie croniche quali quelle cardiovascolari, l’insulino resistenza e non ultimo il diabete. Proprio per quest’ultima patologia le evidenze del coinvolgimento del danno ossidativo a vari tessuti e’ stato considerato non solo come fattore eziologico ma anche come fattore chiave per la sua progressione. E’ stato inoltre osservato che molti processi degenerativi possono essere prevenuti attraverso trattamenti con scavengers dei radicali liberi e con antiossidanti esogeni.
Nella ricerca di trattamenti sempre piu’ mirati e in grado di agire da fattori terapeutici, in questo lavoro di tesi abbiamo analizzato le capacita’ antiossidanti di due prodotti naturali; l’ergotioneina (EGT), sostanza naturale, sintetizzata da batteri del terreno sui substrati fungini, e l’estratto fermentato di papaia (FPP). In dettaglio, lo scopo di questa tesi e’ stato di verificare gli effetti dell’EGT e dell’FPP nella prevenzione degli effetti fisiologici indotti da danno ossidativo in un modello cellulare neurale in vitro di feocromocitoma di ratto (PC12) ed in un modello murino di fibroblasti di topo (C2C12).
La prima fase ha interessato lo studio dell’attivita’ antiossidante dei composti selezionati considerando la loro capacita’ di antagonizzare l’ossidazione dell’acido alfa-cheto-gamma-metilbutirrico del radicale idrossile, del perossile e del perossinitrato. I risultati sono stati espressi in Total Oxyradical Scavcenging Capacity (Unita’ TOSC). L’EGT ha mostrato di essere il piu’ attivo antiossidante analizzato se confrontato con il GSH, l’acido urico e il Trolox, un analogo della vitamina E. In dettaglio, l’EGT ha mostrato di avere la capacita’ antiossidante piu’ alta verso il radicale perossile, mostrando un valore del 25% piu’ alto rispetto all’antiossidante di riferimento per questo radicale. La capacita’ di scavenger verso il radicale idrossile ha mostrato un valore del 60% piu’ alto rispetto all’acido urico. Per quel che riguarda la capacita’ di ridurre il radicale perossinitrato, anche in questo caso l’EGT si e’ dimostrato essere il piu’ efficacie. Analizzando l’effetto dell’FPP sulla capacita’ di ridurre il radicale perossile, idrossile e perossinitrato il quadro generale e’ risultato molto diverso. L’FPP infatti ha mostrato una elevata capacita’ di ridurre solo il radicale ossidrile, con un valore del 120% superiore all’antiossidante di riferimento, dimostrandosi un antiossidante piu’ specifico.
Passando successivamente all’analisi degli effetti dell’EGT e dell’FPP nei vari modelli cellulari, il primo passo e’ stato quello di analizzare l’effetto inibitorio nei confronti della citotossicita’ indotta dall’H2O2 nella linea cellulare PC12 e del PA, tramite il saggio dell’MTT, per le C2C12. Entrambe i pre-trattamenti con EGT e FPP sono stati in grado di ridurre l’effetto citotossico indotto dall’ossidante scelto ed in modo concentrazione-dipendente. I dati ottenuti con i saggi di vitalita’ cellulare hanno avuto perfetta correlazione con i risultati ottenuti analizzando le potenzialita’ di inibire il danno al DNA. Il saggio della Cometa, valutando in modo quantitativo i tagli a singolo e doppio filamento, ha evidenziato che sia per l’EGT che per l’FPP e’ presente una tendenza alla riduzione dell’endpoint preso in considerazione, che pero’ e’ risultata statisticamente significativa (P<0.001) solo per l’EGT.
Per poter avere maggiori informazioni sul meccanismo di protezione da danno citotossico abbiamo analizzato la possibile modulazione indotta ad alcune protein-chinasi intracellulari (MAPKs). Quello che e’ stato evidenzito e’ che, in presenza di danno ossidativo indotto da H2O2, l’EGT si comporta da inibitore della fosforilazione di p38 e da attivatore di fosforilazione per Akt, mentre nessun effetto e’ stato osservato per ERK1/2. In queste condizioni quindi l’EGT e’ plausibile che giochi un ruolo protettivo nella citotossicita; indotta da agenti ossidanti attivando meccanismi molecolari intracellualari in cui p38 e’ fattore determinante. Per la modulazione a carico dell’FPP, sulle MAPKs, quello che e’ stato possibile osservare e’ che tale sostanza, anche se in modo meno evidente che per l’EGT, e’ anch’essa capace di agire come modulatore di eventi di fosforilazione ma solo a carico di Akt. Nessun effetto significativo e’ stato invece osservato a carico di p38 e ERK1/2. Avendo presenti gli interessanti risultati ottenuti con l’EGT il passo successivo e’ stato quello di investigare in vitro il suo effetto protettivo/antiossidante in un modello di fibroblasti murini (C2C12) sotto l’azione ossidante dell’acido palmitico (PA). Le cellule sono state incubate a diverse concentrazioni di PA (PA; 250, 500, 750 e 1000 microM) per 24h preceduta da 24h di pre-trattamento con l’EGT. Tramite tale protocollo sperimentale abbiamo analizzato come endpoints cellulari, la citotossicita’ cellulare (saggio MTT), la modulazione di alcune protein-chinasi intracellulari (MAPKs) (Western blot) e l’effetto trascrizionale e traduzionale per il gene pro-infiammatorio IL-6. I risultati dell’effetto protettivo nei confronti della citotossicita’ indotta da PA hanno mostrato un evidente recupero, statisticamente significativo, sia per la vitalita’ che per la morfologia cellulare, ad entrambe le concentrazioni di EGT analizzate (500 e 1000 microM); dati in perfetta correlazione con quelli ottenuti con il modello cellulare PC12. Per quel che riguarda la modulazione delle MAPKs analizzate, anche per le C2C12, l’EGT si e’ “comportata” come inibitore specifico di p38 e Akt. Infine per la parte relativa all’IL-6, l’EGT ha agito da sostanza anti-infiammtoria inducendo un decremento, statisticamente significativo, della regolazione del gene analizzato sia a livello trascrizionale che traduzionale.
In conclusione i risultati, seppur parziali, ottenuti in questo lavoro di tesi, suggeriscono che (i) l’EGT e l’FPP svolgono un ruolo protettivo nei confronti della citotossicita’ indotta dagli agenti pro-ossidanti scelti (H2O2 e PA), (ii) che tale effetto implica la regolazione delle protien-chinasi intracellulari e che (iii) l’EGT e’ in grado di agire da sostanza antiinfiammatoria almeno nel modello cellulare analizzato.Ergotioneina

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Biosintesi

È un derivato dall’istidina, contenente un atomo di zolfo dell’anello imidazolico.

La sua biosintesi consiste nella modifica dell’istidina attraverso la polimetilazione all’azoto, con la catalizzazione di enzimi a base di S-adenosil metionina, che porta alla formazione di hercinina. Successivamente la cisteina si lega attraverso un ponte solfuro, e in una reazione catalizzata dall’enzima cisteinasi, il residuo cisteinico si decompone in acido piruvico ed ammoniaca, lasciando un gruppo sulfenico (-SOH), il quale viene poi ridotto a sulfidrile (-SH).

Questo composto ha un comportamento insolito poiché l’atomo di zolfo è più stabile in soluzione nella forma tionica, piuttosto che come sulfidrile. Questo rende l’ ergotioneina molto meno reattivo rispetto ai tioli come il glutatione nei confronti di agenti alchilanti come i maleimmidi, e ne impedisce anche l’ossidazione all’aria. Tuttavia, l’ EGT può essere ossidata lentamente nell’arco di diversi giorni alla forma disolfuro in soluzioni acide. Se l’ ergotioneinanon viene ossidata, il disolfuro è un agente ossidante molto forte, quindi questo a sua volta rapidamente ossida altri tioli presenti nella cellula come ad esempio il glutatione.

Proprietà

L’ergotioneina in vitro ha proprietà antiossidanti. Studi scientifici hanno dimostrato le sue capacità di neutralizzare radicali idrossiliacido ipocloroso, inibire la produzione di ossidanti da parte degli ioni metallici, e partecipare nel trasporto degli ioni metallici e nella regolazione dei enzimi metallici. Poiché tali attività sono state registrate “in vitro” la loro rilevanza in vivo restano non ancora accertate.

Sebbene l’ergotioneina non possa essere prodotta nelle cellule umane, è presente in alcuni tessuti a livelli elevati in quanto è assorbita attraverso la dieta; nell’uomo è assorbita dall’intestino e concentrata in alcuni tessuti da un trasportatore specifico chiamato ETT (gene SLC22A4), ma ancora oggi non si conosce fino in fondo il suo ruolo nel metabolismo umano.

Metabolismo ed origine

L’ ergotioneina è stata isolata per la prima volta dalla segale cornuta (ergot) da cui prende il nome; tuttavia è presente anche in altri funghi ascomiceti(Neurospora crassa) e basidiomiceti (Coprinus atramentariusCoprinus comatus). È stata inoltre trovata in batteripiante ed animali, a volte a livellimillimolari. Cibi ricchi di EGT sono il fegato, il renefagioli neri e crusca di avena, con i più alti livelli nei funghi boletipleuroti. Nel corpo umano, le più cospicue quantità di EGT sono state trovate negli eritrociti, nel cristallino e nello sperma,nonché nella pelle.

Mentre in molti esseri viventi questa sostanza proviene dall’esterno, ovvero dalla dieta, in altri si forma per biosintesi, come ad esempio negliActinobacteria, quale il Mycobacterium smegmatis e nei fungi filamentosi, come la Neurospora crassa. Comunque non è ancora chiara l’esatta via metabolica, si conoscono solo alcuni passaggi della biosintesi. Altre specie di batteri come Bacillus subtilisEscherichia coliProteus vulgaris eStreptococcus, e funghi come i Saccharomycotina non possono produrre EGT.

Ergothioneine: A New Vitamin?

Ergothioneine was discovered a century ago but ignored until recently when researchers found that we have a transporter protein in our bodies specifically designed to pull it out of our diets and into our tissues. This suggests that it plays some important physiological role, but what does it do? Well our first clue was the tissue distribution. Ergothioneine concentrates in parts of our body where there’s lots of oxidative stress—the lens of our eye and the liver, as well as  sensitive areas such as bone marrow and seminal fluid. Researchers guessed that it might function as a so-called “cytoprotectant,” a cell protector, and that’s indeed what was subsequently found.

Not only does ergothioneine get into the nucleus of our cells to protect our DNA, it can get into our mitochondria, the power plants of the cell. Ergothioneine appears to function as a potent intra-mitochondrial antioxidant. Why is that important?  In my 5-min. video Mitochondrial Theory of Aging I quote one of the greatest biochemists of all time:

“Aging is a disease. The human lifespan simply reflects the level of free radical damage that accumulates in cells. When enough damage accumulates, cells can’t survive properly anymore and they just simply give up.”

First proposed in 1972, the Mitochondrial Theory of Aging suggests that it’s free radical damage to our cells’ power source that leads to a loss of cellular energy and function over time. It’s a little like charging your iPod battery over and over again; every time you charge it the capacity gets less and less.

In my Stopping Cancer Before it Starts DVD, I go into detail about the quantum biology of oxidative phosphorylation, but in a nutshell the oxygen we breathe may get ahold of an electron we ate that was pumped with energy by plants (thanks to photosynthesis). The oxygen molecule is thereby transformed into what’s called superoxide, which can damage (oxidize) our delicate cellular machinery. Basically we’re rusting—that’s what rust is, the oxidation of metal. Scientifically, aging has been considered the slow oxidation of our bodies. Like those brown age spots on the back of your hands? That’s just oxidized fat under the skin. Oxidant stress is why we get wrinkles, it’s why we lose some of our memory, and it’s why our organ systems break down as we get older.

How do we slow down oxidation? By eating foods containing anti-oxidants. If you want to know if a food has a lot of antioxidants in it simply slice it open, expose it to air—expose it to oxygen–and see what happens. Does it oxidize? Does it turn brown? Think about our two most popular fruits: apples and bananas. They turn brown right away; not a lot of antioxidants inside there. How do you keep your fruit salad from turning brown though? Add lemon juice, which has vitamin C in it, an antioxidant, that can keep your food from oxidizing and may do the same thing inside our bodies.

For an introduction on where antioxidants can be found in our diet, see Antioxidant Content of 3,139 Foods and Antioxidant Power of Plant Foods Versus Animal Foods.

Here’s the catch: many antioxidants can’t penetrate through the mitochondrial membrane into the mitochondria. They can protect the rest of the cell including our DNA, but they can’t get access into the power plants of our cells and therefore may be helpless to slow down the aging process. Ergothioneine, however, is allowed access into our mitochondria. Where is it found in the diet? Mushrooms! Check out my 3-min. videoErgothioneine: A New Vitamin?.

Other examples of the magic of mushrooms can be found in:

§ Making Our Arteries Less Sticky

§ Vegetables Versus Breast Cancer

§ Breast Cancer Prevention: Which Mushroom Is Best?

§ Breast Cancer vs. Mushrooms

§ Why Do Asian Women Have Less Breast Cancer?

Probably best to cook them though, see Toxins in Raw Mushrooms?

-Michael Greger, M.D.

PS: If you haven’t yet, you can subscribe to my videos for free by clicking here and watch my 2012 year-in-review presentation Uprooting the Leading Causes of Death

 

Synonyms: Thioneine, thiolhistidine betaine, 2-mercaptohistidine trimethylbetaine

L-Ergothioneine is a natural and water-soluble compound which has been first isolated from Claviceps purpurea in 1909 [1]. It is almost ubiquitous in living organisms and it has been found in particular in the well-known horseshoe crab (Limulus polyphemus), one of the oldest living animal on Earth [2].

L-Ergothioneine has been shown to be biosynthesized in fungi (such as Neurospora crassa) and mycobacteria [3-5]. Incorporated into plants, it is ingested by animals and humans through their diet. The determination of the ergothioneine content in common foods shows that edible mushrooms, black and red beans, oat bran, garlic and some meat products (liver and kidney) are the main dietary sources of this compound [6,7].

L-Ergothioneine is distributed in most human and animal tissues where it can reach sub-millimolar or even millimolar concentrations. It has been found in particular in liver, kidney, heart, skin, lung, spleen, small intestine and blood (in erythrocytes) [8,9], as well as in ocular tissues [10] and seminal plasma [11-13].

L-Ergothioneine is absorbed in tissues through a specific organic cation transporter, OCTN1 (or ETT), which has been identified as such in 2005 [14]. This discovery, about a century after that of L-ergothioneine, has boosted the advancement of knowledge of this fascinating natural compound. Earlier characterized in humans [15], OCTN1 was shown to have a high affinity for L-ergothioneine (Km=21μM, i.e., 100 times more than that of L-carnitine) involving a Na +-dependent anti-transport [14,16]. Expressed on the cytoplasmic membrane, OCTN1 localization has also been shown in mitochondria [17].

Metabolomic analysis in Octn1 gene knockout mice showed an almost complete disappearance of L-ergothioneine in tissues of these mice [9].

The profile of OCTN1 expression corroborates the ergothioneine distribution [14-16,18-23]. It is characterized by a high expression in the bone marrow, and more precisely in CD14+ monocytes and CD71+ (transferrin receptor) erythroid progenitor cells [14]. OCTN1 is not expressed on erythrocytes, which incorporate L-ergothioneine during erythropoiesis [8].
OCTN1 expression is regulated by pro-inflammatory cytokines (TNF-
α, IL-1β) via the transcription factor NF-κB [24], and it is under the control of RUNX1 [24], whose involvement has been demonstrated in proliferation and differentiation during hematopoiesis [25,26], neurogenesis [27] and hair morphogenesis [28].

Finally, it has been shown that OCTN1 knockdown results in:

  • A decrease of differentiation and L-ergothioneine uptake in K562 cells (cells from human chronic myelogenous leukemia) [29]
  • An increase of oxidative stress-induced alterations in HeLa cells (human epithelial cell line) [30]

Numerous antioxidant and potential pharmacological properties have been demonstrated for L-ergothioneine:

in vitro

  • Trapping of strong oxidizing species: HOCl [31], ONOO- [32], ROO[33]
  • Quenching of singlet oxygen (1O2) [34,35] and excited photosensitizer [36]
  • Chelation of divalent metallic cations (Cu2+, Zn2+ [37,38]) and prevention of pro-oxidant effects of copper [39]
  • Reduction of Fe(IV)-Hb/Mb and protection of isolated rat heart from ischemia/reperfusion-induced injury [40]
  • Protection of cellular macromolecules from damage induced by oxidative stress[30,41]
  • Inhibition of hydrogen peroxide- and TNF-α-induced NF-κB activation and IL-8 release in epithelial cells [42]
  • Inhibition of IL-1β-induced endothelial expression of cell adhesion molecules (VCAM-1, ICAM-1 and E-selectin) and subsequent monocyte binding [43]
  • Inhibition of PC12 apoptosis induced by hydrogen peroxide [44] / β-amyloid peptide[45]
  • Inhibition of palmitic acid-induced IL-6 production by C2C12 myoblasts [46]
  • Stimulation of Caco-2 cells proliferation [47]

in vivo

  • Decrease of nitrite-induced methemoglobin formation in rabbits [48,49]
  • Neuroprotection against NMDA excitotoxicity in rats [50]
  • Decrease of the rate of embryo malformation in diabetic rats [51]
  • Protection against ischemia/reperfusion-induced injury: rat liver [52] and small intestine [53]
  • Protection against oxidative damage induced by ferric-nitrilotriacetate in rats [54]
  • Neuroprotection against cisplatin toxicity in mice [55]

Despite numerous studies, the in vivo role of L-ergothioneine remains unknown today. It has been suggested that L-ergothioneine may represent a new vitamin [30], but its essential role has not been discovered yet through deprivation or knockout in vivostudies, the resulting animals being phenotypically similar to control animals. Such an essential role might be only revealed under stress conditions.

L-Ergothioneine can at least be considered as a physiological antioxidant endowed with anti-inflammatory properties. Naming this compound solely an “antioxidant” might be confusing if this property is only related to its ability to trap reactive oxygen/nitrogen species. Indeed, in vivo, the ability of L-ergothioneine, to also specifically interact with macromolecules (other than its transporter) remains to be addressed, in particular towards redox alterations of proteins, such as disulfide formation, nitrosylation and metal coordination. These chemical modifications are known to play a key role in the redox signaling of cellular events and cell fate. So in that case, defining L-ergothioneine as a modulator of redox homeostasis would be more appropriate.

L-Ergothioneine is used as an active ingredient in Cosmetics, in topical application. This development is strongly supported by the fact that L-ergothioneine naturally occurs in skin and is able to counterbalance the effect of key mediators involved in skin aging, and in particular in skin photodamage. The photoprotective effect of L-ergothioneine has been demonstrated in vitro [20,21,56,57]. Developing oral applications of L-ergothioneine to face skin aging could also be an interesting strategy.

A dietary supplement containing synthetic L-ergothioneine, ERGOFLEX, has recently been launched by Oxis International Inc. in US. This product is intended to relieve joint pain.

 

The unique antioxidant and anti-inflammatory properties of L-ergothioneine (while being stable towards O2) and its safe toxicity profile support further development in nutrition, as well as in therapeutical or biomedical applications. This has led us to develop a novel industrial process (Application WO2011042480), using a biomimetic and sustainable approach [58], to supply L-ergothioneine in bulk quantities.