Privacy Policy Gennaio 2012 - Micomedicina

Phellinus linteus e cancro

“Il Phellinus linteus nel 2008 ha avuto una discreta rilevanza nei media per una ricerca americana pubblicata sul BJC (British Journal of Cancer) circa la capacità di contrastare l’invasività delle cellule del cancro al seno metastatico (antiangiogenetica), poco tempo prima (2007) un’altra ricerca statunitense ha dimostrato la capacità di induzione di apoptosi (morte cellulare) delle cellule neoplastiche del cancro prostatico confermando quanto di buono contro i tumori aveva evidenziato già nel lontano 1968 il giapponese dr Ikegawa confermati da studi più recenti su cellule umane di sarcoma 180 le quali evidenziavano il primato del Phellinus linteus con un tasso di inibizione del 96.7 % delle cellule sarcomatose rispetto ad altri 26 funghi; e nonostante ciò questi ultimi come il Coriolus versicolor (77.5% i.r.) molto meno attivi furono invece molto più utilizzati in ambito oncologico. I motivi di questo non sono facilmente spiegabili, nostro compito di ricercatori è riportare l’attenzione su un fungo che si riaffaccia periodicamente all’attenzione e,  come per tante cose che valgono sul serio, torna nel dimenticatoio perchè non interessa economicamente. Tutte le ricerche sul Phellinus le potete trovare e scaricare sul sito www.micomedicina.it e in onore di questo grande fungo abbiamo deciso di dedicargli la copertina del sito.”

Dott Maurizio Bagnato

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PROGETTO MEDICI DI BASE

Gruppo di lavoro con i medici di famiglia : Progetto la micomedicina nelle malattie cronico-degenerative

Il giorno 20 gennaio alle ore 19:00 avrà luogo presso la sede onlus  di viale Giustiniano Imperatore 15, il primo dei 3 incontri previsti di progettazione di un intervento tramite i medici di famiglia sulle malattie cronico-degenerative secondo i principi della micomedicina e di integrazione alimentare tramite funghi ed erbe . In tale occasione il presidente dott. Bagnato illustrerà i principi dell’agire secondo micomedicina (principio della simbiosi, modello a matrioska ecc.) e insieme ai medici di base verranno stabiliti dei protocolli operativi sulle più comuni malattie cronico-degenerative(ipertensione, ipercolesterolemia diabete). Tale gruppo di lavoro stilerà il progetto pilota che verrà presentato in estate  2012. Chiunque medico di famiglia o comunque professionista interessato ed aperto alle discipline complementari , che volesse far parte del gruppo di lavoro può inviare la propria adesione alla mail: maurizio.bagnato@fastwebnet.it .

Le altre date proposte sempre alla stessa ora sono : 24 febbraio e 23 marzo.

Cordiali saluti,

il Presidente Micomedicina Onlus

Dott. Maurizio Bagnato

La ricerca si concentra sulla vitamina D

La ricerca si concentra sulla vitamina D
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento

La ricerca rivela tante nuove funzioni vitali per la vitamina D, sostanza sempre più simile a un ormone. Secondo Francesca Bottaccioli, presidente onorario della società di Psiconeuroendocrinoimmunologia, è stato dimostrato che la vitamina D stimola la sintesi della tirosina idrossilasi e di fattori di crescita nervosa come il NGF e le neurotrofine. La D ha quindi un effetto trofico sul tessuto nervoso. Non sembra perciò un caso che in malati di Parkinson si riscontri spesso un deficit di vitamina D. Così come è sempre più documentata una relazione inversa tra livelli di vitamina D e depressione.
Esiste anche una relazione tra vitamina D e sclerosi multipla, a cui è stato dedicato tutto un numero del Journal of Neurological Sciences, organo della Federazione mondiale di neurologia, aperto dalla lettura che Kelly Claire Simon, Kassandra L. Munger e Alberto Ascherio della Harvard University hanno tenuto alla Charcot Foundation. I tre scienziati scrivono che «la supplementazione con vitamina D potrebbe avere un eccezionale impatto sulla diffusione della sclerosi multipla».
A cento anni di distanza dagli studi del Premio Nobel Niels Finsen, per i suoi studi sull´efficacia della fototerapia nella cura della tubercolosi cutanea, la ricerca sta svelando i meccanismi con cui il sole e la luce sono terapeutici. La vitamina D induce i macrofagi a produrre catelicidina, un antibiotico naturale efficace contro il Mycobacterium tuberculosis.

Perché ritorna il grasso perduto

Perché ritorna il grasso perduto
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento

Joseph Proietto, ricercatore australiano, ha appena pubblicato una ricerca sul New England Journal of Medicine, nel tentativo di spiegare perché, subito dopo una dieta, si riprendono i chili persi. Lo studio ha molti limiti, perché è stato condotto su poche persone e i risultati devono essere confermati, ma ha il merito di suggerire un nuovo modo di guardare alla dieta e ai suoi risultati.
La grelina, l’ormone dell’appetito prodotto dallo stomaco, aumenta del 20% dopo una dieta. Un altro ormone, il peptite YY, capace di sopprimere l’appetito, invece si riduce. Lo stesso vale per la leptina, la sostanza ormonale che sopprime l’appetito e aumenta il metabolismo. Il risultato è che si tende a mangiare di più.
Questi cambiamenti, secondo il ricercatore australiano, spiegano molti fallimenti del trattamento dell’obesità e dimostrano come le vecchie regole, di mangiare meno e fare più attività fisica, non siano sufficienti per chi vuole uscire dalla “trappola del grasso”. Bisogna cercare altrove le soluzioni che permettano di mantenere il peso acquisito.
La genetica spiega perché certe persone aumentano di peso, a parità di calorie assunte, rispetto ad altre (a tutt’oggi sono stati identificati almeno 32 variazioni genetiche legate al peso), ma giustifica anche il fallimento delle diete. Uno studio condotto alla Columbia University di New York da Rudolph Leibel e Michael Rosenbaum dimostra che le fibre muscolari di chi è a dieta bruciano meno calorie di chi ha lo stesso peso, ma non è a dieta.

Avere sempre fame può essere colpa dei batteri

Avere sempre fame può essere colpa dei batteri
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento

Il dipartimento di patologia della Emory university di Atlanta ha pubblicato uno studio su Science per dimostrare che l’obesità può derivare dalla flora intestinale. I batteri del tratto enterico influenzano la velocità del nostro metabolismo, pesano complessivamente 1 kg e superano le 1000 specie diverse, come ha dimostrato una ricerca cinese pubblicata su Nature. Lo studio di Atlanta ha dimostrato che una cura a base di antibiotici fa perdere peso ai topi in cui l’obesità è stata indotta artificialmente. Dalla minore o maggiore abbondanza dei due ceppi di batteri prevalenti nell’intestino Bacteroides e Firmicutes, sembra derivare la tendenza all’obesità.
«Ricerche come questa ci costringono a guardare i batteri sotto una nuova luce – commenta Ercole Concia, professore di malattie infettive dell’università di Verona – condizionano il nostro organismo agendo su recettori implicati nei processi infiammatori, resistenza all’insulina, aumento dell’appetito, sovrappeso, ma anche nella risposta immunitaria».