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Effetti delle nanotecnologie sulla salute

Nanotecnologie, dubbi sugli effetti sulla salute

«Mancano gli studi»; «sospetti effetti sulla salute»; «conseguenze ambientali sconosciute». Dalla Germania arriva un allarmante stop ad una delle più promettenti – e, oramai, diffuse – tecnologie: le nanoparticelle. La Umweltbundesamt (Uba), l’Ufficio federale tedesco dell’Ambiente, ha invitato ad evitarne l’uso in attesa di dati più certi. Riporta la notizia La Stampa.

«Le nanoparticelle – si legge sul quotidiano torinese – rischiano di rivelarsi un pericolo per l’ambiente e per la salute, ha avvertito ieri in un documento l’autorevole Umweltbundesamt (Uba), l’Ufficio federale tedesco dell’Ambiente. Che è arrivato a proporre una soluzione draconiana: visto che finora mancano dati a sufficienza sugli effetti delle nanoparticelle su uomo e ambiente, meglio per il momento “evitare l’uso di prodotti che contengono o rilasciano nanomateriali”».

«È un semaforo giallo – continua l’articolo – per le nanotecnologie difficile da tradurre in pratica. Ormai le nanoparticelle sono infatti ovunque: nelle creme solari, dove vengono usate per fermare i raggi UV, nelle gomme delle auto, dove aiutano a ridurre l’attrito e a tagliare così i consumi, nelle lampade Oled, dove permettono di risparmiare energia. E i campi d’applicazione si estendono senza sosta.

«Lo stesso Uba – si legge ancora – è ben lungi dal demonizzare questo settore. “Le nanotecnologie e i prodotti nanotecnologici consentono di utilizzare le materie prime e l’energia in modo più efficiente nel corso del ciclo di vita di un prodotto e di ridurre il rilascio di sostanze nocive e il consumo energetico”, si legge nel documento».

«Non del tutto chiare – conclude La Stampa – sono, per esempio, le conseguenze per l’uomo. Le nanoparticelle, scrive l’Uba, possono riuscire a introdursi nell’organismo attraverso il contatto con la pelle, per vie respiratorie oppure orali; a quel punto possono finire nei polmoni e generare delle infezioni, ma anche intaccare l’apparato gastrointestinale. Studi su alcuni ratti hanno dimostrato che le nanoparticelle posso raggiungere per via nasale il cervello o danneggiare l’attività genetica. E restano tutte da esplorare le conseguenze sull’ambiente».


Fonti
  • La Stampa, pag. 19.

Ganoderma lucidum

Caratteristiche del Ganoderma Lucidum :

Cappello: Circolare, reniforme o a ventaglio, con gambo verticale od obliquo, superficie lucida-laccata oppure opaca in età molto avanzata, color bruno-rossastra, con orlo del cappello giallastro.

Gambo: Eccentrico, concolore al cappello, di dimensione variabile 15-30 cm, oppure nullo.

Carne: Elastica, poi coriacea, legnosa ma non troppo, quasi rugginosa. Odore: leggero, gradevole, di tannino. Sapore: legnoso, tanninico.
Habitat: Cresce in primavera inoltrata, estate ed autunno, su ceppi di latifoglie specialmente di quercia e di castagno, talvolta anche di olivo.
Commestibilità: Non commestibile in quanto estremamente legnoso.
Etimologia: Dal latino lucidum, lucido, per il suo aspetto lucido, brillante, quasi laccato.
In Cina è conosciuto col nome di “Ling zhi” mentre in Giappone con l’appellativo di “Reishi“. In questi due paesi è comunque considerato il “fungo dell’immortalità” per via delle proprietà officinali.
In Cina ed in Giappone viene coltivato sin dall’antichità, essiccato e poi ridotto in polvere; è usato per la preparazione di decotti, unguenti, liquori oppure viene semplicemente trasformato in compresse.

ganoderma lucidum

 

Bioaccumulatori

Funghi simbionti nella biopercezione, nel biorisanamento e nel biomonitoraggio ambientale

Responsabile –Paola Bonfante

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Questo progetto è suddiviso in due azioni:

3.1 Biopercezione e biorisanamento mediante l’utilizzo di funghi simbionti radicali

3.2 Licheni come biosensori per il monitoraggio ambientale.

 

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Felci cinesi

Uno studio su felci cinesi rivela la possibilità di sviluppare nuovi repellenti contro gli insetti parassiti delle colture.
Felci assorbenti l’arsenico possono inzupparsi del tossico metallo per respingere insetti affamati, secondo quanto riportano ricercatori dell’Università della Florida.
Nella lotta per la sopravvivenza le piante sono spesso soggette alla predazione da parte di animali affamati, per questo spesso sviluppano meccanismi di difesa tra cui tessuti velenosi, o tessuti in grado di accumulare sostanze velenose assorbite dal suolo.
Un esempio di questo tipo è riportato in un articolo pubblicato il 24 aprile sul giornale “The New Phytologist” e di cui dà notizia l’Università della Florida l’1 maggio 2007. Tale articolo tratta di uno studio che ha avuto come oggetto le felci cinesi del sottobosco, una fra le parecchie specie di felci, originarie della Cina, conosciute per la loro capacità di accumulare arsenico.
L’oggetto specifico di questo studio è la scoperta che l’arsenico accumulato nella pianta è in grado di allontanare i predatori; infatti le cavallette, insetti utilizzati per questa prova, sarebbero in grado, secondo quanto riferito dagli autori di questa ricerca, di percepire tramite un meccanismo ancora non noto, se le felci contengano o meno arsenico, sostanza fortemente tossica.
Secondo quanto indicato da Rathinasabapathi, un professore associato presso il Dipartimento di Scienze Orticole dell’Università della Florida, che ha portato avanti le attività di laboratorio connesse a questo studio, esisterebbero i presupposti per proseguire ulteriormente questa ricerca per poter scoprire come gli insetti riescano ad acquisir e questa informazione importantissima per la loro sopravvivenza. La comprensione di questo meccanismo potrà essere molto importante per la messa a punto di sostanze chimiche che abbiano la stessa capacità repellente dell’arsenico, ma che siano meno tossiche.
I ricercatori credono che l’arsenico possa indurre le felci del sottobosco a produrre altri composti tossici attivi nel tener lontani gli insetti, questo potrebbe essere un altro percorso di ricerca che può condurre alla sintesi di nuovi insetticidi, o deterrenti di insetti.
L’arsenico ha avuto un più o meno marcato utilizzo in generale nei seguenti ambiti applicativi: il controllo di insetti ed infestanti, la protezione del legno da insetti e funghi, la preparazione di fuochi d’artificio, la preparazione di leghe metalliche di rame ed acciaio per aumentarne la durezza, di componenti elettronici e perfino per antichi dipinti. E’ tossico per l’uomo e contamina il suolo in migliaia di luoghi posti in tutto il mondo.
In realtà per la difesa dagli insetti esso è stato vietato da molto tempo, per quanto riguarda il legname da costruzione sembra vi sia vi sia invece ancora molto legno in circolazione trattato con questa sostanza.
La proprietà delle felci di assorbire arsenico era stata scoperta precedentemente e pubblicata su “Nature” nel 2001 ed è l’unico organismo vegetale in cui sia stata scoperta la capacità di assorbire grandi quantità di questa sostanza, sebbene molte piante accumulino altri metalli. Questa proprietà può essere sfruttata anche nella fito-depurazione, pratica che consiste nel far crescere piante in siti inquinati per eliminare gli elementi tossici dal suolo, come riferisce Lena Ma, professore all’università della Florida presso il Dipartimento di Scienza dell’Acqua e del Suolo e capo-ricercatore in uno studio del 2001.
Sul sito internet dell’Agenzia ambientale statunitense (EPA) è presente un documento in formato “.pdf”, curato dalla dottoressa Ma, che schematizza le acquisizioni in materia di fito-depurazione dei suoli dall’arsenico sempre sullo stesso sito internet inserendo (phytoremediation nella casella di ricerca posta nella pagina iniziale fuoriesce una lunga lista di documenti in formato “.pdf”).
Rathinasabapathi e Ma stanno cercando di identificare i geni che permettono alle felci del sottobosco di assorbire arsenico.
Secondo la dottoressa Ma “Una volta che i geni siano stati indicati con precisione, potrebbero essere trasferiti a piante più adatte alla fito-depurazione”.
Nello studio recente è emerso che le cavallette americane mangerebbero prontamente queste felci nel caso esse contengano solo tracce di arsenico (= circa 3 mg per kg di massa vegetale), ma toccherebbero appena le felci “fortificate” da una dose di arsenico 15 volte maggiore.
I ricercatori, nel realizzare le loro prove di laboratorio, tenevano le cavallette ad un regime di digiuno prima di liberarle sulle felci, quindi valutavano quanto esse mangiavano, esaminando le piante, pesando gli insetti e determinando quanti rifiuti poi venivano prodotti. Le cavallette assaggiavano le foglie (delle felci arricchite di arsenico) solo se non avevano nient’altro da mangiare, ma non andavano oltre gli iniziali morsi test.
Un secondo esperimento ha mostrato che le cavallette scartavano le foglie di lattuga lasciate a bagno in una soluzione di arsenico, ma divoravano volentieri la lattuga immersa nell’acqua.
Tutto ciò suggerì che gli insetti fossero respinti dallo stesso arsenico piuttosto che da qualche reazione causata dal metallo all’interno delle felci.
John Capinera, direttore del dipartimento di entomologia e nematologia dell’Università della Florida e coautore dello studio si sofferma sulle prospettive applicative di questa ricerca e riferisce che le cavallette non sono originarie dello stesso luogo dell’Asia orientale dal quale sono state prelevate le felci, ma sono comunque considerate l’insetto più adatto per questo studio poiché esse sono marcatamente polifaghe, infatti esse si nutrono ai danni di un ampio spettro di piante ospiti, quindi se si riesce ad identificare una sostanza che allontani le cavallette dalle piante essa è sicuramente un potente repellente anche per altri insetti.
Robert Boyd, professore di biologia all’università di Auburn, che ha recensito il lavoro per il giornale “The New Phytologist” prima che ne venisse accettata la pubblicazione e noto esperto dell’argomento sostiene che quanto è stato scoperto aiuta a confermare una delle molte ipotesi portate avanti per spiegare il motivo per cui alcune piante accumulino elevate quantità di metalli tossici; l’obbiettivo delle piante sarebbe quindi di tenere lontani tutti quegli organismi che si vogliano nutrire di loro.
Altre ipotesi suggeriscono invece che le piante possano immagazzinare metalli per difendersi dalla competizione di altre piante o per resistere alla siccità. Ulteriore possibilità è che questo fenomeno si verifichi accidentalmente, come conseguenza dell’assorbimento di altri composti chimici.
Boyd poi afferma:”il mio interesse per questo lavoro è finalizzato a capire alcune cose da un punto di vista accademico” ed aggiunge che “l’altra angolazione dalla quale si può guardare questo lavoro con interesse è, considerando che le felci che assorbono arsenico dal suolo sono originarie della Cina, per questo motivo la comprensione del motivo per il quale esse abbiano sviluppato la capacità di assorbire arsenico ed il suo significato ecologico possono essere comprese solo nel luogo di origine.

Fonte: Sezione “notizie” del sito dell’Università della Florida, 1 maggio 2007. Autore dell’articolo: Luca Federico Fianchini, 28 maggio 2007

Funghi e temperatura corporea

Quello che differenzia la maggioranza dei mammiferi dagli altri esseri viventi è la temperatura corporea che viene mantenuta alimentandosi più volte durante la giornata.
Questo mantenere i 36,5-37° C del corpo scoraggia l’attecchire e lo sviluppo dei funghi patogeni secondo uno studio dell’Albert Einstein College of Medicine presso la Yeshiva University (Usa).

I ricercatori, coordinati dal dr. Arturo Casadevall, suggeriscono che i ceppi fungini patogeni non riescono a sopravvivere e a moltiplicarsi in presenza di alte temperature, come quella del corpo umano sano. A questo proposito, il dr. Casadevall ricorda che «Il nostro studio fa sua la tesi secondo cui le alte temperature potrebbero essere frutto di un’evoluzione atta a proteggerci contro le malattie fungine. E il fatto di essere a sangue caldo, e quindi con la massima resistenza alle infezioni fungine, può contribuire a spiegare la dominanza dei mammiferi dopo l’età dei dinosauri».
Le infezioni fungine che invece a volte accadono in certe persone possono essere dovute a una compromissione del sistema immunitario.

Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno esposto oltre 4mila ceppi fungini a varie temperature che andavano da -4° C fino a 45° C.
I ricercatori hanno coperto migliaia di ceppi fungini facendo uso di una banca dati della collezione Utrecht.
I risultati hanno mostrato che i funghi crescevano bene fino a una temperatura di 30° C. Aumentando la temperatura di un grado centigrado per volta, la possibilità di sopravvivere delle diverse specie di funghi diminuiva in misura percentuale del 6%.
La maggior parte dei funghi non riesce a crescere alle temperature corporee dei mammiferi. Quei pochi casi in cui è avvenuto è perché i funghi erano stati presi da fonti a sangue caldo.

Questo, fanno notare i ricercatori, potrebbe spiegare anche perché i mammiferi debbano mantenere uno stile di vita che promuove la produzione continua di energia e calorie apparentemente inutile e per mezzo dell’ingestione di una grande quantità di cibo.
Al contrario, gli animali a sangue freddo come i rettili necessitano di un solo pasto al giorno o anche meno.
(lm&sdp)

Source: lo studio è stato pubblicato sul “Journal of Infectious Diseases”.